La cura del sano

A qualche giorno dalla notizia della scomparsa del professor Giorgio Girard, (docente universitario di psicologia ma soprattutto “filosofo”, come prediligeva definirsi) mi ritrovo tra le mani a leggere un “quaderno” con la trascrizione di alcune sue conferenze, dal titolo “ la cura del sano”. Questo titolo e i contenuti del “quaderno” mi hanno stimolato nella riflessione sul concetto di “cura” e sopratutto sui “destinatari della cura”, in senso psicologico. Prendendo in considerazione la psicoterapia come “processo di cura” non soltanto rivolto alle persone che “soffrono”, che manifestano sintomi chiaramente classificabili all’interno del manuale statistico dei disturbi psichici psichiatrici, ma ad un percorso di cura rivolta anche al “sano”, mi sembra di restituire ampiezza e respiro a questo strumento terapeutico. Intraprendere un percorso terapeutico da “sani”, (ossia pur essendo in possesso della capacità armoniosa di leggere e di muoversi all’interno della realtà, del contesto di vita e delle relazioni), significa “ri-guardare”, “ri-leggere “ la propria storia, significa “avere l’opportunità” di ampliare il proprio sguardo sulle cose, di “scansare” l’inciampo di qualche ostacolo che impedisce il più semplice o il più sereno raggiungimento di una meta o di un obiettivo, significa “sciogliere” qualche nodo stretto. C’è ancora l’idea diffusa che la psicoterapia e lo psicologo siano strumento e professione per “i matti”: questo articolo è dedicato alle persone che credono ancora in questo. Dico loro che, quando a partire da Freud si è iniziato un lavoro pionieristico strutturato dello studio sulla psiche, i cosiddetti “pazienti” erano tipicamente persone di cultura medio-alta, con preservate capacità riflessive (e metacognitive in generale) e assolutamente facenti parte del tessuto sociale dell’epoca, mediamente di ceto sociale elevato. Pertanto la “cura del sano” in senso psicologico e in terapia è a buon diritto uno strumento di lavoro interno non solo in termini di “riparazione”, di “aggiustamento” di qualcosa che non va, ma di “osservazione” e di “ restituzione” ampia e decentrata di ciò che fluisce, ossia della nostra esperienza.

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